giovedì 6 e venerdì 7 febbraio ore 21.00
adattamento dal testo di W. Shakespeare
di e con | Raffaele Schettino
produzione | Groucho Teatro
La storia di un Re che divide un regno, la storia di un padre che finisce per dividere i propri figli: la storia della malattia del potere; la storia dell’amore disinteressato del figlio verso il padre, la storia dell’opportunismo adulatorio e del disprezzo del figlio verso il padre, la storia della vecchiaia e delle sue difficoltà, la storia della vecchiaia e della saggezza conquistata, la storia di un figlio disprezzato, la storia di un figlio riabbracciato, la storia della superbia, la storia dell’umiltà, la storia di chi guarda ma non vede, la storia di chi impara a vedere quando non può più guardare, la storia del vile tradimento, la storia dell’amore incondizionato, la storia dell’angheria, la storia dell’onestà, la storia della distruzione, la storia della catarsi. La storia di Re Lear.
Note di regia
Perché Lear? Dunque: perché esiste ancora il Potere, che in tempi di crisi si sfregia, fratelli-nemici, fino alla fine? La crisi è cambiamento, trasformazione e anche il Potere si trasforma, si aggiorna, assumendo nuove dinamiche e strategie, con il rischio di autodistruzione. Soprattutto quando possiede la proprietà personale della RES PUBBLICA ed ha il potere di disporne come vuole, anche dividendola. Questo crea contrasti insanabili, fra generazioni e nelle generazioni, dato che gli appetiti per il potere sono insanabili. Fate voi le dovute analogie con il presente.
Nostro intento è quello di portare al più vasto pubblico la conoscenza di quest’opera, non annoiandolo con lungaggini, ma nemmeno semplificandola eccessivamente. Perché quest’opera continua a parlare di noi.
Che cosa è la Follia di Lear?
Lear-Fool: da questa equazione partiamo per scoprire che a volte dobbiamo fare un giro largo, andare oltre i nostri limiti abituali, per scoprirci da dentro e finalmente riuscire a vedere “con gli occhi della mente” insieme al Matto che è dentro di noi. Appunto, nella Follia. Il Teatro fa di questo una prassi procedurale: la paradossalità e la contraddizione ne sono la base operativa. E una crisi spesso si trasforma in opportunità di cambiamento e, in qualche modo, di catarsi interiore.
Re Lear è un’opera d’incredibile spessore, per cui, probabilmente, una vita intera non sarebbe sufficiente a coglierne tutti gli aspetti più profondi: un’opera più grande di noi. La necessità di confrontarsi con essa ha subito evidenziato la difficoltà di ridurre il testo i cui piani narrativi sono complessi, conservandone l’unità narrativa e cercando di non semplificarlo eccessivamente. L’obbiettivo della messa in scena è duplice. Il primo è quello di trasmettere allo spettatore l’aspetto umano delle relazioni espresse nel e sotto il testo scritto: l’attore passa da un personaggio all’altro (dieci personaggi e un narratore), approfondendone le linee di azione e comportamento, fisico-psichiche, raccontando in azione i personaggi della piéce e la loro traiettoria. Il tutto in-seguendo la tradizione della compagnia Fo-Rame e gli insegnamenti del teatro di Peter Brook; il secondo obbiettivo è quello di far apprezzare “Re Lear” quale strumento per riflettere sui meccanismi sociali del nostro tempo.
Un contesto in cui l’attore ritorna al centro della scena, nella sua funzione essenziale e primaria di trasmettere una storia, di condividerla umanamente, carne, sangue e spirito, nel rituale semplice del trovarsi assieme, nel rituale del teatro.
Il testo
La riduzione del testo è avvenuta conservando le battute scritte dall’autore nell’originale. La traduzione di riferimento è quella di Agostino Lombardo e a partire da questa, con la stretta consulenza di drammaturghi madre-lingua, sono state scelte parole e frasi coerenti con il linguaggio dei giorni d’oggi e comprensibili al pubblico più vasto, ma sempre seguendo il testo originale. Per la traduzione (non solo per quanto riguarda l’interpretazione e la creazione delle scene) ci si è avvalsi del contributo in nota delle edizioni Arden Shakespeare edito da Foakes e del volume edito da Bate e Rasmussen su King Lear, confrontando e integrando le peculiarità della versione Folio (1623) e della versione Quarto (1608).
Il lavoro procede appunto partendo dal testo, desumendo in azione i dettagli che permettono di raccontare la storia dei personaggi, di scena in scena, secondo il piano drammaturgico e narrativo dell’opera. Seguendo questa prassi, i personaggi sorgono direttamente dal lavoro pratico sul testo, da quello che fanno, che agiscono, oltre che da quello che dicono: essi non esistono a priori e non vengono definiti da un processo psicologico preventivo, ma restituiscono allo spettatore l’essenza delle loro contraddizioni e della loro duplicità, ‘scendendo umilmente dentro e sotto il testo scritto’, e restituendo il valore drammaturgico complessivo del Re Lear attraverso la sua UMANA attualità.
La realizzazione de LA STORIA DI RE LEAR deve un immenso ‘grazie’ a JEAN PAUL DENIZON, storico attore e assistente alla direzione di Peter Brook, per la sua consulenza (decisiva) sulla stesura del testo, sulla drammaturgia e sulla messa in scena di questa piéce e per la sua infinita disponibilità e passione.
Nota personale
Ho pensato e iniziato a lavorare su Re Lear quando ero a Ceva, a settembre 2012, in uno stage con Bruce Myers, e una notte ho visto chiaramente che tu stavi col tipo.
..non era una fuitina
Un inizio perfetto. Ero sotto il letto a castello, non funzionava nemmeno “punch hero”, il giochetto sul cellulare che tu tanto odiavi… e tu non c’eri. stavi con quell’altro. era un momento molto forte. l’ho visto chiaramente che stavi col tipo.
…non era una fuitina.
Se ho scelto di lavorare su questo testo è per un motivo molto profondo. solo che ancora non lo capisco. forse è troppo profondo. praticamente annegato