domenica 27 ottobre ore 21,00
di e con Riccardo Goretti
collaborazione ai testi e alla scena Emanuele Miriati
Collaborazione tecnica Duccio Burberi
Realizzazione tomba Francesco Bresci
Foto Silvia Bavetta
Nata Teatro e Armunia
in collaborazione con Arti Vive Habitat
e con Accademia Amiata Mutamenti Factory
e con Centro Culturale La Gualchiera – Montemurlo
distribuzione Fonderia CultArt
…compito dell’artista dovrebbe essere il trattare di ciò che lo colpisce a livello profondo. Di ciò che ha contribuito a formare la sua visione delle cose. Di ciò che ha scosso le sue convinzioni pregresse. Di ciò che può aiutare il fruitore dell’opera a comprendere un punto di vista diverso. Di ciò che trova, semplicemente, bello ed interessante a più livelli.
Nessuno avrà obiezioni, dunque, se in questo spettacolo io parlerò di Emanuele Miriati.
Cominciamo con una presa di coscienza. Il 2013 ha bisogno del suo “Cioni Mario di Gaspare Fu Giulia”. Per colmare questa lacuna, o presunta tale, nasce l’idea di “Essere Emanuele Miriati”. Nel 1975, lo spettacolo di Benigni/Bertolucci fece un punto e a capo sull’esame della condizione di vita del proletariato in Italia. Partendo dal personaggio protagonista, la fortunatissima piéce in questione proponeva una weltanschauung straziante, originale e molto sincera. Nella fattispecie, il Cioni era un operaio della provincia pratese, terrigno, disperato, squattrinato, capace (quasi suo malgrado) di profonde analisi sociali e ed esistenziali quando si trova coi suoi amici e di slanci di dolcezza sublime quando va a puttane. Emanuele Miriati è un operaio della provincia pratese, terrigno, disperato, squattrinato, capace (quasi suo malgrado) di profonde analisi sociali ed esistenziali quando si trova coi suoi amici e di slanci di dolcezza sublime quando va a puttane. Non che questo basti. Nè per lo spettacolo, né per la vita. Infatti c’è di più. C’è la gioia, la rabbia, l’impulisività, l’amicizia, la morte, la generosità, “un senso di inappagamento non costante ma presente”. E, ovviamente, ci sono le bugie, c’è la fica, e c’è Pippo.
In scena c’è solo l’attore, cioè c’è solo Emanuele, e un mucchio di terra. Evidentemente una tomba. Un morto da poco. Una presenza muta e ingombrante. Emanuele parla con la terra, col suo caro che non c’è più. E, a poco a poco, si apre. Racconta al morto esperienze e sensazioni che non racconterebbe mai ai vivi. Insieme a lui, prendono la parola, di quando in quando, suo padre, figura distante e quasi mitologica come in ogni famiglia proletaria di provincia (specialmente se toscana) che si rispetti, Taylla, una trans brasiliana che si è disperatamente innamorata del nostro protagonista, e Luftar, collega operaio precario a sua volta, albanese, “banalmente” arrivato fin qua col gommone.
Insieme tratteggiano il quadro complessivo, senza paure, senza ipocrisie, senza peli sulla lingua. Perché, per dirla con le parole di Emanuele “Anche NON mandare affanculo chi se lo merita vol dire essere poco puliti!”.
Insieme restituiscono, almeno così mi auguro e ci auguriamo, al 2013 il suo Mario Cioni.
Insieme ci spiegano cosa significhi essere Emanuele Miriati.