sabato 26 ottobre ore 21,00
di e con Riccardo Goretti
Nata Teatro e Kilowatt festival
Da un evidente paradosso nasce un racconto spontaneo. Che ha come scopo proprio quello di annullare il paradosso iniziale. Come si può accettare che la persona che vi parla sia anche la sua stessa nonna, e poi suo padre e poi sua madre? Forse la risposta si può trovare seguendo il filo dei ricordi, dondolando in bilico sugli anni passati che sembrano sempre presenti, provando a capire che tutti noi non siamo, né siamo mai stati, né saremo mai, solo il nostro corpo.
E non perché abbiamo un’anima.
Perché abbiamo cellule, sangue, capelli, occhi. E sono le cellule, il sangue, i capelli e gli occhi di tutte le persone che hanno compiuto l’unico atto eroico possibile al mondo: creare un’altra vita dalla loro vita.
Non abbiamo un’anima, ma abbiamo tanti corpi.
Un monologo semplice e diretto, per raccontare i molti corpi della persona che vi sta davanti. Per raccontare, marginalmente, molto marginalmente, gli ultimi ottant’anni di storia italiana. Per raccontare il passaggio di testimone da donna a uomo a donna a uomo nel secolo che ha visto i suoi anziani diventare vecchi in uno schioccar di dita, i suoi bambini perdere un’infanzia che non hanno mai avuto, i suoi trentenni arrabbiarsi sempre con la generazione precedente, e farci la pace solo una volta preso il loro posto, nessuno stare bene con nessuno.
L’attore che vi sta davanti è un animale, è tornato nella tana, si è leccato le ferite ed è uscito per dirvi che non c’è paradosso, che non siamo soli, che si può anche stare bene. Ma mai da soli.
La solitudine non è difficile da sopportare, è impossibile da ottenere.
Io sono mia nonna. E mio padre. E mia madre.
E tu chi sei?
Nota dell’autore
Questo spettacolo, inutile nasconderlo, nasce dalla mia esperienza di indagatore umano fatta con la compagnia de Gli Omini. Per anni ho girato l’Italia in lungo e in largo intervistando perfetti sconosciuti, cercando di capirne a fondo caratteristiche, sfaccettature, dubbi, sogni e paure. La buonuscita da questa avventura (ancora non finita, ma in temporanea fase di pausa), è stata la voglia di rivolgere la lente d’ingrandimento su di me. L’ho fatto. E’ risultato che non sono interessante. Allora ho parlato con la mia famiglia, una cosa che avrei dovuto fare da tempo.
Ne è uscito un percorso lineare di corpi, parole e musica che va dal 1923, anno di nascita di mia nonna, l’unica nonna ancora viva che ho, al 1979, anno di nascita del poco interessante autore. Con snodi nel 1951, anno di nascita di Angiolo, mio padre (o, per meglio dire, “i mi’ babbo”), e nel 1969, anno di incontro dei miei genitori. Per conservare la linearità cronologica del secolo breve, che poi tanto breve non fu, ho voluto seguire questo schema.
Il resto è storia facile: per giorni ho intervistato la mia famiglia, riascoltato, sbobinato, sistemato… cambiato il meno possibile delle “frasi originali”. Quasi nulla.
Il testo è una traslitterazione più o meno fedele all’ effetto sonoro del dialetto stiano (Stia, AR) per mia nonna e mio padre (anche se quest’ultimo si è sforzato di essere il più “ripulito” possibile… sarà forsanche che è maestro elementare e vuol dare il buon esempio…), e di quello bibbienese (Bibbiena, AR) per mia madre. Per fortuna, non sono veri e propri dialetti: hanno una calata specifica, quella sì, e molte storpiature dell’italiano corretto.